La sentenza della Cassazione Sez. 3 Num. 342 Anno 2019, udienza del 25/10/2018, contiene numerosi riferimenti utili ad inquadrare il complesso problema del confine del possibile in termini di installazioni stagionali per le piscine.
Il caso tratta della realizzazione di un gazebo in legno e di una casetta per gli attrezzi in legno nella quale era stato installato il locale tecnico, entrambi a servizio di una piscina in una abitazione privata. Ricordiamo che il procedimento è di tipo penale, trattandosi della corte di Cassazione, e che quindi al proprietario della abitazione, che aveva realizzato le opere senza permessi edilizi, è stato contestato un reato.
La Corte di cassazione ha confermato le precedenti sentenze di primo grado e di appello.
Al di la del singolo caso di specie, però, è interessante l’analisi delle motivazioni, che fornisce spunti utili da applicare in casi analoghi.
Dice la sentenza:
Quanto alla copertura della piscina, richiamando consolidata giurisprudenza, la sentenza impugnata ha giustamente escluso che si trattasse di opera destinata a soddisfare esigenze meramente temporanee, posto che la copertura – e lo stesso ricorrente sostanzialmente lo riconosce – era stata realizzata, e veniva in concreto utilizzata, stagionalmente, tutti gli anni, durante i mesi meno caldi.
Di fatti, in materia edilizia, al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto, l’asserita precarietà dello stesso non può essere desunta dal suo carattere stagionale, ma deve ricollegarsi – a mente di quanto previsto dall’art. 6, comma secondo, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, come emendato dall’art. 5, comma primo, D.L. 25 marzo 2010, n. 40 (convertito, con modificazioni, nella I. n. 73 del 2010) – alla circostanza che l’opera sia intrinsecamente destinata a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee, e ad essere immediatamente rimossa al venir meno di tale funzione (Sez. 3, n. 36107 del 30/06/2016, Arrigoni e a., Rv.267759; Sez. 3, n. 34763 del 21/06/2011, Bianchi, Rv. 251243).
Questo è un primo aspetto, spesso ribadito in giurisprudenza ma molto spesso ignorato: stagionale non significa provvisorio. Il fatto che una piscina, un gazebo, un box o qualunque altro accessorio, venga installato per i mesi estivi e poi smontato non esula dalla necessità della richiesta del permesso edilizio.
Il proprietario aveva argomentato la tesi della pertinenzialità del gazebo, considerando che il volume fosse inferiore al 20% del volume della abitazione. A questa obiezione la Corte risponde:
La sentenza, infatti, esclude giustamente la natura pertinenziale del manufatto in considerazione delle sue consistenti dimensioni («la copertura infatti era lunga circa 19 m. e larga circa 9 con un’altezza variabile dai 2,60 m ai 3,60 m»). Trattandosi, dunque, di opera che occupa una superficie di 170 mq. per un’altezza media superiore ai 3 metri (per oltre 500 mc.) il giudizio di merito è tutt’altro che illogico ed è aderente alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, che ha sempre richiesto, perché possa parlarsi di pertinenza, che il manufatto abbia ridotte dimensioni (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno e a., Rv. 253064; Sez. 3, n. 37257 del 11/06/2008, Alexander, Rv. 241278). Quanto al fatto che l’opera non supererebbe il 20% dell’edificio principale, il
rilievo è generico (non sono neppure indicate le dimensioni di detto edificio) ed è comunque irrilevante. Dalla previsione di cui all’art. 3, comma 1, lett. e.6), d.P.R. 380 del 2001, che considera interventi di nuova costruzione assoggettati a permesso di costruire, tra l’altro, quelli «che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale», non può ricavarsi, a contrario, che laddove tale soglia non sia superata, il manufatto, pur destinato a servizio di quello principale, sia da qualificarsi pertinenza non soggetto a tale regime, essendo pur sempre necessario, come richiesto dalla consolidata giurisprudenza, che esso abbia dimensioni oggettivamente ridotte.
Diversamente opinando, si finirebbe – tradendo la ratio della disciplina normativa – per escludere dal previo controllo dell’ente comunale interventi di trasformazione del territorio di sicuro impatto urbanistico per l’oggettiva consistenza (quale certamente è quello in esame) sol perché funzionali ad edifici di enormi dimensioni.
Cioè, dice la Corte, non si può ammettere la realizzazione senza permesso di qualunque manufatto, anche se di sicuro impatto ambientale, solo perchè le dimensioni sono inferiori al 20% del volume della abitazione principale. Se passasse questo principio, si potrebbe costruire qualunque cosa, purchè a servizio di una altra cosa molto più grande.
A proposito della realizzazione della casetta adibita a vano tecnico, la Corte entra nel merito della definizione di vano tecnico, così argomentando:
Non è manifestamente illogica la motivazione della sentenza impugnata laddove esclude comunque natura di vano tecnico alla casetta in legno abusiva oggetto d’imputazione, sul rilievo che la stessa ha caratteristiche («ampia oltre 12 m quadri, di altezza variabile da metri 2,40 a metri 4, dotata di due porte di accesso di notevoli dimensioni e di finestre») incompatibili con la semplice necessità di contenere le pompe per il funzionamento della piscina e la caldaia per il riscaldamento dell’acqua. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte – che di regola ha affrontato il tema in rapporto alla nozione di pertinenza urbanistica, in ricorso peraltro non specificamente affrontato – sono “volumi tecnici” quelli strettamente necessari a contenere e consentire la sistemazione di impianti tecnici, aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione (serbatoi idrici, extracorsa degli ascensori, vani di espansione dell’impianto termico, canne fumarie e di ventilazione, vano scala al di sopra della linea di gronda), che non possono trovare allocazione, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti, entro il corpo dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche (Sez. 3, n. 22255 del 28/04/2016, Casu, Rv. 267289-01).
Con particolare riguardo al profilo qui in disamina, si è affermato che, in tema di reati edilizi, non integra la contravvenzione di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001 la realizzazione, in difetto di permesso di costruire, dei cd. “volumi tecnici”, cioè di quei volumi strettamente necessari a contenere e consentire la sistemazione di impianti tecnici, aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione alla quale si connettono, alla duplice condizione negativa che tali impianti non possano trovare ubicazione, per evidenti ragioni di funzionalità, entro il corpo dell’edificio asservito e che non vi sia sproporzione, in termini di ingombro, tra tali volumi e le esigenze effettivamente sussistenti (Sez. 3, n. 14281 del 04/02/2016, Mocetti, Rv. 266394 – 01).
Cioè, dice la Corte, è possibile realizzare volumi che contengano impianti che non possono trovare collocazione nel volume principale. Ma la casetta in oggetto aveva porta e finestre, ed era molto più grande dello spazio necessario a contenere gli impianti della piscina. Non è quindi considerabile come “vano tecnico”, ma è di fatto un volume aggiuntivo, che necessitava di permesso.